Osservare con ironia, ovvero il mondo visto da Elliott Erwitt

Si tratta di reagire a ciò che si vede, possibilmente senza preconcetti. Si possono trovare immagini ovunque. È solo questione di notare le cose e organizzarle. Basta soltanto interessarsi a ciò che ci circonda e avere a cuore l’umanità e la commedia umana”. Così Elliott Erwitt descrive il suo modo di intendere la fotografia, fatto di osservazione, umorismo intelligente e prontezza di scatto, orchestrati nello scenario che gli è più congeniale: la quotidianità della vita.

Il suo sguardo ne evidenzia gli accostamenti paradossali e ne mette in mostra le assurdità, ed è così che si sprigiona quell’ironia delicata che smitizza con fare bonario ostentazioni e ansie della società contemporanea, con quel quanto basta di compiacenza perché la società sia la prima a ridere di se stessa. Cosa che sta estremamente a cuore ad Erwitt, il quale ha sempre sostenuto l’importanza dell’umorismo non solo nella sua fotografia: “Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente. Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto. Non miro necessariamente a tanto, ma riconosco che si tratta del traguardo supremo”.

Fig.1 New York City, 1974 ©Elliott Erwitt_Fotocult.it
Fig.2 Olanda, 1973 ©Elliott Erwitt_Fotocult.it

A questo proposito uno dei soggetti preferiti di Elliott sono i cani. Non perché, a suo dire, ne fosse particolarmente affascinato, ma perché in loro c’è tutto quello che serve per fare da contraltare alla compostezza dei padroni e destrutturarla senza riserve, ovvero naturalezza e irriverenza. Iconica la serie fotografica dove il punto di osservazione è quello canino e le quattro zampe si trovano al fianco delle (due) zampe umane, le prime vestite di pelliccia, le seconde del pellame delle calzature. Da lì tutto cambia e lo sguardo diventa indagatore, divertente e curioso nel gustarsi lo spettacolo della commedia umana nella quale loro malgrado si trovano coinvolti gli stessi animali, umanizzati nell’abbigliamento e talvolta nelle pose. Il Maestro ama i finali aperti dove, per quanto i suoi scatti non abbiano bisogno di spiegazioni per via di quella loro occhiata diretta sul mondo, fioriscono le riflessioni di chi osserva, tanto da affermare che “le fotografie più riuscite hanno una ironia gentile che insinua uno o più dubbi”.

Fig. 3 Parigi, 1989 ©Elliott Erwitt_Gardapost.it

La sua attenzione nei confronti di situazioni apparentemente frivole ne fece un protagonista sui generis della Magnum, la storica agenzia fotografica dove entrò a far parte nel 1953, fondata fra gli altri da Robert Capa ed Henri Cartier-Bresson di cui Elliott Erwitt era ammiratore e per certi aspetti ne diventa l’erede. Ne ricalca infatti il modus operandi dell’attesa del momento decisivo per scattare, quando tutti gli elementi di una buona fotografia, ovvero composizione, contenuto e atmosfera, si presentano insieme, ma arricchendolo con prospettive e intenti nuovi. Per lui, fortuna e istinto sono i due ingredienti principali per coglierlo.

Questo suo dare priorità all’attimo giusto, per Erwitt è di un’importanza che va oltre la composizione perfetta della foto: perderlo vorrebbe dire rinunciare a quello sguardo spontaneo di bellezza naturale che per lui rappresenta l’essenza della fotografia, trasformandola di contro in un lavoro artificioso. Unisce questo suo credo, oltre che ad un’ironia che si manifesta in tutta la sua giocosità, ad un’attenzione lenticolare verso la condizione umana. Segna così un genere fotografico intimista fatto di sfumature insite negli atteggiamenti umani, raccontando sentimenti ed emozioni universali che parlano allo spettatore chiunque esso sia. Forse lo scatto più celebre in questo senso è quello rubato del bacio fra due innamorati, riflesso e impeccabilmente inquadrato nello specchietto retrovisore dell’auto. Così bello da sembrar finto.

Fig.4 California, 1955 ©Elliott Erwitt_Magnumphotos.com

L’occhio di Erwitt è inconfondibile perché riesce davvero a vedere l’umanità senza pregiudizi. “Quando uno si ritrova di colpo in mezzo a estranei che blaterano in una lingua che non capisci, devi usare gli occhi. E cosa vedi? Vedi esseri umani comici, tristi, felici: esseri umani più o meno come te”, commentò i suoi viaggi in giro per il mondo quando, più libero da impegni, decise di dedicarsi all’esplorazione. Questo suo modo di raccontare per immagini, lo si ritrova anche in una raccolta di fotografie scattate nelle stanze di musei e luoghi d’arte, intitolata “Museum Watching”.

Versailles. Tre visitatori sono concentrati a contemplare una cornice vuota, all’interno della quale compare un cartellino che avvisa dell’assenza del dipinto, forse per restauro. Accanto a loro c’è un quadro i cui protagonisti, il soggetto ritratto e busto che tiene accanto, guardano proprio in direzione dei visitatori che sono quindi osservati a loro volta, mentre si concentrano di fronte ad una tela che non c’è. Il punto di vista dell’opera d’arte si ripropone anche al Metropolitan Museum of Art di New York, dove una statua di donna che sta per scoccare una freccia, sembra avere come bersaglio proprio un visitatore che si trova poco più avanti.

Fig.5 Versailles, 1975 ©Elliott Erwitt_Solldn.com
Fig.6 New York, Metropolitan Museum of Art, 1949 ©Elliott Erwitt_Solldn.com

E ancora al Metropolitan, un nuovo scenario. Una bambina si posiziona accanto alle sculture dell’Antico Egitto, rispettando l’equidistanza dall’ultima per non spezzare il ritmo delle divinità che si susseguono una dopo l’altra, quasi fosse una di loro. Al Prado di Madrid invece Erwitt testimonia l’humor e l’interesse verso il corpo femminile di fronte alla Maya desnuda e la Maya vestida di Goya: a osservare la prima un nutrito gruppo di uomini, mentre al loro fianco a guardare la seconda c’è una sola donna.

Il sorriso che Elliott Erwitt suscita non è mai fine a se stesso ma porta con sé sempre una riflessione, in cui chi è spettatore della mostra diventa allo stesso tempo anche attore, osservato da altri visitatori come lo stesso Elliott, oppure dalle opere d’arte che lo circondano. Il risultato è una capacità compositiva attenta dall’intelligenza raffinata e la lettura immediata, ma con un ventaglio di molteplici significati.

Fig.7 New York, Metropolitan Museum of Art, 1988 ©Elliott Erwitt_Magnumphotos.com

Claudia Chiari

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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