Lo sguardo che segue: il misterioso effetto Monna Lisa
Hai mai avuto la sensazione che un dipinto ti stesse osservando?
Se la risposta è affermativa, allora hai sperimentato il cosiddetto effetto Monna Lisa: un curioso fenomeno visivo in cui gli occhi di un soggetto ritratto sembrano seguire l’osservatore da qualsiasi angolazione lo si guardi.
Tale effetto prende il nome dalla celebre opera di Leonardo da Vinci, la Gioconda (1503-1506) Fig.1, in cui lo sguardo della donna sembra fissare chiunque la osservi, indipendentemente dalla posizione dello spettatore. Naturalmente, per quanto possa sembrare molto reale, si tratta in realtà di un’illusione ottica, riscontrabile in molti altri ritratti e che non smette mai di affascinare.

Questo espediente viene spesso utilizzato in modo consapevole dagli artisti per creare una connessione più intensa tra spettatore e soggetto del ritratto, rendendo così l’opera più coinvolgente e viva. L’effetto Monna Lisa può avere infatti un impatto emotivo molto forte, dal momento che attiva particolari reazioni nel cervello umano, al punto tale da diventare, come vedremo, oggetto di studi scientifici nel campo delle neuroscienze.
Cos’è l’effetto Monna Lisa e come viene utilizzato
Come detto, si tratta di un’illusione ottica (Fig. 2). Quando lo sguardo del soggetto è rivolto frontalmente, il cervello interpreta quell’occhiata come diretta verso di sé, anche se ci si sposta lateralmente rispetto all’opera. Questo accade perché nei dipinti bidimensionali la prospettiva non cambia con il movimento dello spettatore, creando così l’illusione di uno sguardo che “segue” l’osservatore.
Anche se il nome deriva dal capolavoro di Leonardo Da Vinci, moltissimi altri ritratti, sia di epoca rinascimentale sia opere contemporanee, riproducono lo stesso effetto. Basta che il soggetto abbia lo sguardo rivolto frontalmente e che sia rappresentato con una certa precisione prospettica. Tuttavia, l’illusione funziona solo in 2D. In una scultura o in un’immagine 3D reale, infatti, l’effetto svanisce perché lo sguardo cambia davvero a seconda dell’angolazione.

L’effetto Monna Lisa non è utilizzato solo nelle arti figurative, ma anche nel cinema e nelle pubblicità. In tali ambiti viene sfruttato per suscitare fascino e mistero e catturare l’attenzione dello spettatore, e quindi determinare in quest’ultimo un maggiore coinvolgimento “emotivo”. Nel contesto cinematografico, ad esempio, viene utilizzato per rendere un attore più enigmatico o comunque più “attraente” alla mente e agli occhi dello spettatore, cercando di creare una “relazione” visiva diretta con quest’ultimo, il quale si sente “osservato” e quindi coinvolto; nel campo pubblicitario, viene applicato con lo scopo di rendere i messaggi più incisivi, aumentando l’efficacia della comunicazione.
Inoltre, con l’avvento della realtà aumentata e dell’intelligenza artificiale, l’effetto Monna Lisa ha trovato nuove applicazioni, contribuendo allo sviluppo di esperienze sempre più immersive e coinvolgenti. Ad esempio, nei videogiochi o nei musei interattivi, dove grazie a tecnologie di tracciamento dello sguardo e animazione e alla ricostruzione di ambienti più realistici ed emozionanti, viene ricreata quella particolare sensazione di “essere osservati”, facendo così sentire il giocatore o il visitatore parte dell’azione, come se fosse realmente osservato o coinvolto in un dialogo visivo.
In ambito scientifico l’effetto Monna Lisa, detto altrimenti “effetto dello sguardo che segue” (“gaze-following effect”), è studiato anche in psicologia cognitiva per comprendere come l’essere umano percepisca lo sguardo altrui e come ciò influenzi le sue emozioni. È interessante osservare che tale fenomeno non è percepito da tutti gli spettatori allo stesso modo. Alcuni soggetti addirittura non lo percepiscono affatto, sottolineando proprio che la percezione dello sguardo è influenzata non solo da fattori oggettivi, quali la vista e il cervello, ma anche da fattori soggettivi, ovvero le nostre sensazioni. Uno sguardo diretto, anche se dipinto, attiva infatti risposte emotive diverse all’interno del cervello umano, legate talvolta all’attenzione, alla vigilanza, all’empatia e via dicendo.
Per comprendere meglio il legame esistente tra osservatore e opera d’arte e le reazioni del nostro cervello di fronte agli stimoli visivi, bisogna rifarsi agli studi condotti dal Gruppo di Fisiologia di Parma e da Vittorio Gallese, Professore ordinario di Fisiologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma, a proposito dei neuroni specchio. Una particolare classe di cellule nervose, che permette di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di metterci in relazione con gli altri.
In uno studio del 2012, condotto nel laboratorio di elettroencefalografia del Dipartimento di Neuroscienze di Parma e pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience, Gallese, Maria Alessandra Umiltà, Professore Associato di Fisiologia nel Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’Università di Parma, e David Freedberg, professore di Storia dell’arte alla Columbia University, hanno studiato come l’osservazione di alcune opere di Lucio Fontana fosse in grado di evocare specifiche risposte motorie nel cervello degli osservatori. I risultati di questo studio hanno confermato l’ipotesi precedentemente formulata da Gallese e Freedberg circa il ruolo delle risposte empatiche durante l’osservazione di opere d’arte. Tali risposte si configurano come modalità di simulazione incarnata (“embodied simulation”), che consentono una comprensione diretta dei contenuti intenzionali ed emotivi delle immagini.
Le reazioni empatiche rappresentano un aspetto fondamentale per comprendere come e perché le immagini esercitino il loro potere sull’osservatore. Ovviamente, il rapporto tra le opere d’arte, l’essere umano e le sue esperienze estetiche sono mediate principalmente attraverso fattori storici e socio-culturali. Tuttavia, ciò non entra in contraddizione con i processi cerebrali che sottendono il coinvolgimento empatico dell’osservatore con le opere d’arte.
L’effetto Monna Lisa esiste, ma non nella Gioconda
Il mito del magnetico sguardo di Monna Lisa, che dà l’impressione di seguire con gli occhi chi la osserva, è stato confutato da uno studio condotto dai ricercatori del Cluster of Excellence Cognitive Interaction Technology dall’Università di Bielefeld, in Germania, pubblicato sulla rivista i-Perception. Sebbene sia stato chiamato così in onore del capolavoro di Leonardo Da Vinci, secondo gli studiosi, tale effetto esisterebbe, ma paradossalmente non nel celeberrimo dipinto esposto al Louvre.
Come spiega il professor Gernot Horstmann, uno degli autori dello studio, ci si può sentire osservati se chi è ritratto guarda dritto, cioè con un angolo di 0 gradi. Anche con uno sguardo leggermente laterale si potrebbe avvertire la medesima sensazione, ma a circa 5 gradi da una normale distanza di visione. Poi, questa impressione svanisce.
Stando alle ricerche condotte in questa sede, su più di 2000 valutazioni, quasi ogni singola misurazione ha rivelato che lo sguardo di Monna Lisa non è diretto, ma spostato al lato destro. “I partecipanti (allo studio) hanno avuto l’impressione che lo sguardo fosse rivolto alla loro destra e l’angolo di osservazione era in media di 15,4 gradi”. Ha precisato Horstmann. È possibile pertanto concludere che, secondo lo studio in parola, l’espressione “effetto Monna Lisa” sia di fatto usata in maniera impropria in riferimento alla Gioconda.
Perché si ha quindi l’impressione che la Monna Lisa di Leonardo Da vinci ci segua con lo sguardo? Horstmann ha ipotizzato che alla base di tale suggestione possa esserci semplicemente il desiderio della gente di essere guardata, a cui si aggiungerebbero il fascino e il mistero che aleggiano intorno alla figura della Gioconda e del suo autore.
Grazie quindi alle conclusioni cui si è giunti in questo studio, possiamo tranquillamente affermare che l’effetto Monna Lisa, paradossalmente, non si riscontrerebbe nel ritratto della Gioconda, bensì in altre opere, come ad esempio Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello (1514-1515) Fig.3a, esposto al Museo del Louvre, e Autoritratto di Rembrandt (1669) Fig.3b conservato alla National Gallery di Londra. Anche se in stile completamente diverso, lo sguardo centrale e frontale di Adele Bloch-Bauer in Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I di Gustav Klimt (1907), conservato a New York al Neue Galerie, crea una sensazione simile. Proseguendo all’interno di un genere ancora differente, in alcuni ritratti di Francis Bacon o Tamara de Lempicka sembrerebbe potersi riscontrare il medesimo effetto ipnotico e penetrante dello sguardo.


L’arte che ci guarda dentro
Per quanto si tratti di una semplice illusione ottica, l’effetto Monna Lisa è la prova di quanto siano potenti il linguaggio visivo e la comunicazione non verbale e ci ricorda come, anche in un’immagine immobile e bidimensionale, possa nascondersi una forma profonda di comunicazione, al di là delle parole. Uno sguardo infatti non è mai solo uno sguardo, ma una linea diretta fra due “interlocutori”. Siano essi entrambi reali oppure no. Nel caso specifico di un ritratto e del suo spettatore, lo sguardo diventa un ponte tra l’opera e chi la osserva e, a volte, quel ponte è così forte che sembra guardare non solo all’esterno, ma anche in una direzione diversa: la propria anima ed il proprio inconscio.
La famosa espressione enigmatica di Monna Lisa nasce soprattutto dagli occhi e dal sorriso, quel sorriso che Vasari definisce «così affascinante da apparire più divino che umano».
(Alberto Angela)
Veronica Elia
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154