Dall'allucinazione all'arte: il mito del poeta maledetto

Allucinazioni: semplici fantasie o sogni ad occhi aperti?

Il termine allucinazione deriva dal latino hallucinere o allucinere, vale a dire “perdere la coscienza”, vaneggiare, delirare e ha nella sua radice la particella lux, che richiama il concetto di illuminazione, percezione.  Tale espressione potrebbe anche risalire al greco ἁλύσκειν (haluskein), che significa “scappare”, “evitare”, riferendosi all’allucinazione come ad una fuga dalla realtà (F. Bonomi. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana. Copyright 2004-2008).

Allucinazioni: cosa sono e come si formano

Da un punto di vista prettamente tecnico le allucinazioni (Fig. 1) sono un fenomeno psichico provocato da cause diverse, per cui un individuo percepisce come reale ciò che è solo immaginario (R. P. Bental. The illusion of reality: A review and integration of psychological research on hallucinations. Psychological Bulletin. 107:82:95, 1990). In psicopatologia (vale a dire la branca della psichiatria e della psicologia clinica che si occupa genericamente dello studio dei disturbi mentali e delle relative patologie) sono perciò state definite come “percezioni senza oggetto”.

Le allucinazioni, infatti, riscontrano uno stimolo esterno che non esiste affatto. In realtà, è il cervello che, in particolari stati di alterazione, produce lo stimolo sensoriale da cui hanno origine. In pratica è come se si riproponesse il meccanismo onirico durante la veglia, differenziandosi pertanto, dalle illusioni che invece interpretano erroneamente uno stimolo esistente (leggi “Quando l’occhio fa strani scherzi: le illusioni visive).

Le allucinazioni possono verificarsi a causa di malattie psichiatriche (come psicosi, disturbi depressivi) e neurologiche (per es. morbo di Alzheimer e morbo di Parkinson). Anche l’assunzione di sostanze stupefacenti ed anche la privazione del sonno e lo stress intenso possono dare origine ad allucinazioni. Nel corso del tempo sono state formulate diverse teorie su come si formano: alcuni studi sostengono che alla base vi sia una sorta di “irritazione” di determinate zone del cervello, altri le interpretano come un meccanismo di difesa dell’organismo dalla carenza di stimoli e, infine, c’è chi afferma che siano una pura manifestazione dell’inconscio (D. Collerton, E. Perry, I McKeith. Why people see things that are not there: A novel perception and attention deficit model for recurrent complex visual hallucinations. Behavioral and Brain Sciences. 28:737–794, 2005).

A prescindere dalle origini, le allucinazioni si possono distinguere in base all’organo di senso coinvolto, distinguendosi in:

  • allucinazioni visive: consistono nella percezione di persone (anche se stessi) e immagini di figure inesistenti, anche deformate o di dimensioni alterate (aumentate o diminuite). Generalmente possono essere scatenate da malattie del cervello, ma anche a seguito di un’intossicazione da alcol, farmaci e a volte in concomitanza di stati febbrili con temperature corporee elevate;
  • allucinazioni uditive: quando il soggetto percepisce frasi o discorsi minacciosi e denigratori, voci che impartiscono ordini o divieti o rumori, suoni, ronzii, etc.;
  • allucinazioni olfattive: sono caratterizzate dalla percezione di profumi o odori inesistenti emanati dal corpo del soggetto stesso o da quello di altri. Compaiono nelle lesioni del lobo temporale dell’encefaloe nella schizofrenia;
  • allucinazioni gustative: sono percezioni gustative in assenza di un oggetto stimolante. Si osservano perlopiù nelle malattie del sistema nervoso centrale e in certi disturbi psichici;
  • allucinazioni tattili: consistono nella percezione di stimoli tattili inesistenti, descritti in genere come insettiche strisciano sopra o sotto la cute. Si presentano nella sindrome da sospensione di alcol e nell’abuso di cocaina.

(A. Aleman, F. Laroi. The science of idiosyncratic perception. Washington DC: American Psychological Association; Halluciantions, 2008).

Figura 1. Allucinazioni. Pixabay.

Le allucinazioni dei poeti maledetti

Le allucinazioni, con la conseguente immersione in mondi paralleli e fittizi, rappresentano spesso un’allettante via di fuga dalla realtà. Ne sanno qualcosa i cosiddetti “poeti maledetti”.

È in un clima di stanchezza, vuoto e noia che nella seconda metà del XIX secolo fra poeti ed artisti si comincia a fare ampio uso di sostante stupefacenti. Siamo agli albori del movimento letterario del Decadentismo: in un contesto storico-culturale in cui si assiste alla crisi del pensiero scientifico, che lascia quindi spazio all’ignoto, e di conseguenza dei valori morali tradizionali, gli stati di alterazione rappresentano lo strumento privilegiato per raggiungere l’inconscio e l’assoluto e superare così lo scetticismo venutosi a creare. Follia, delirio, incubo e allucinazione, provocati anche artificialmente dall’uso di alcool, assenzio (Fig. 2) e oppio, diventano l’unico mezzo per evadere dalla realtà (spesso dura e malinconica) e conoscere l’essenza segreta e più profonda delle cose.

Fig. 2. L’assenzio, Edgar Degas, 1875-1876, Museo d’Orsay, Parigi, by dalbera. CC BY 2.0.

Questa atmosfera “di ribellione” alla vita e di accusa alla società che non sa comprendere il poeta e il ruolo fondamentale della sua creatività, è stata ben descritta dal poeta Paul Verlain nel 1883 nelle pagine del periodico parigino Le Chat Noir. Ed è sempre Verlain ad attribuire a sé stesso e ai poeti da lui frequentati l’appellativo di “maledetto”, nell’ambito della sua antologia del 1884 intitolata appunto “Les poètes maudits” in cui dapprima raccolse i testi dei poeti Tristan Corbière, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé, per poi ampliarla nel 1888 aggiungendo, nella seconda edizione, Marceline Desbordes-Valmore, Villiers de l’Isle-Adam e “Pauvre Lélian” (pseudonimo dello stesso Verlaine).

“Avremmo dovuto dire Poeti Assoluti per restare nella calma, ma oltre al fatto che la calma poco si addice di questi tempi, il nostro titolo ha questo, che risponde in modo adeguato al nostro odio e, ne siamo sicuri, a quello dei sopravvissuti tra gli Onnipotenti in questione, per la volgarità dei lettori elitari – una rude falange che ben ce lo rende. Assoluti per l’immaginazione, assoluti nell’espressione, assoluti come i Rey-Netos dei migliori secoli. Ma maledetti!” (Paul Verlaine, Les poètes maudits, Avant-propos)

Con il binomio “poeta maledetto” (in francese poète maudit), si viene a identificare il gruppo di autori ed artisti incompresi, caratterizzati da animi impetuosi e sensibili, assai distanti dagli stereotipi della borghesia ottocentesca, di cui rigettano i valori, e inclini ad uno stile di vita provocatorio, pericoloso, asociale e autodistruttivo, frutto del profondo senso di rivoluzione che anima il loro spirito e che inevitabilmente si riflette sullo stile di scrittura e sui temi trattati.

Nell’immaginario collettivo il poeta maledetto per eccellenza è Charles Baudelaire. In particolare, nel suo saggio I paradisi artificiali (1860), l’autore si sofferma sugli effetti del vino, dell’hashish e dell’oppio (Fig. 3). Il testo, provocatorio e rivoluzionario, scardina i canoni dell’estetica tradizionale, aprendo la strada ad una nuova concezione del bello. Tuttavia, dopo l’iniziale elogio della droga intesa come strumento umano per soddisfare il “gusto dell’infinito“, l’autore passa ad una irreprensibile condanna. “Orrenda è la sorte dell’uomo la cui immaginazione, paralizzata, non sia più in grado di funzionare senza il soccorso dell’hashish o dell’oppio(Charles Baudelaire, I paradisi artificiali, 1860).

Con il passare del tempo la definizione “poeti maledetti” è stata usata in riferimento anche a scrittori appartenenti ad epoche diverse, ma tutti avvolti da un alone di mistero. Da Guy de Maupassant a Samuel Taylor Coleridge, da John Keats ad Edgar Allan Poe, da Ernest Hemingway a Charles Bukowsky, considerato da molti “l’ultimo poeta maledetto”.

Fig. 3. The Absinthe Drinker, Viktor Oliva, 1901, Café Slavia, Praga, by jamesjoel. CC BY-ND 2.0.

Dall’allucinazione al sogno

Droghe e alcol hanno spesso indotto nei poeti allucinazioni da cui hanno avuto origine alcune delle loro opere più famose. Kubla Khan, Visione in un sogno (Fig. 4a), è un poemetto mai completato di Samuel Taylor Coleridge che descrive un affascinante viaggio attraverso le meraviglie del palazzo dell’imperatore Kublai Khan. Nella prefazione lo stesso Coleridge dichiara di aver scritto il poema dopo un sogno indotto dall’oppio. Una volta svegliatosi, ha inizato a mettere giù qualche riga, ma essendo stato interrotto nel bel mezzo della scrittura non è mai più riuscito a completare il suo lavoro poiché dimenticò il sogno. L’opera è stata comunque pubblicata nel 1816 grazie alle pressioni di George Gordon Byron.

In pochi sanno che anche Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde (1886), uno dei più famosi romanzi polizieschi del diciannovesimo secolo, è stato scritto da Robert Louise Stevenson in soli sei giorni, sotto l’effetto di derivati dell’ergot, un fungo della segale e del frumento allucinogeno e potenzialmente letale. Non a caso, la trasformazione del personaggio del romanzo avviene tramite un intruglio artificiale. Ciò dimostra come l’autore abbia riportato nella sua opera la propria esperienza legata alla dipendenza da ergotina.

Secondo diverse teorie consolidatesi a partire dagli anni Sessanta del Novecento, allo stesso modo Lewis Carroll nella stesura di Alice nel paese delle meraviglie del 1865 (Fig. 4b) potrebbe essersi ispirato alle allucinazioni prodotte dall’uso di sostanze psichedeliche. Tuttavia, c’è chi sostiene che questa tesi si sia diffusa semplicemente perché il romanzo è stato scritto in un’epoca in cui era dilagante il consumo di allucinogeni. È comunque interessante osservare come nei diari personali di Carroll si faccia riferimento al vino, al laudano, una droga oppiacea, e a fortissime emicranie accompagnate da ricorrenti allucinazioni visive.

Fig. 4a. Illustration fron Kubla Khan, Walker Dugald Stewart, by Halloween HJB. CC-BY NC-SA 2.0.
Fig. 4b. Alice nel paese delle meraviglie, Pixabay.

Il titolo del romanzo di Carroll è stato inoltre utilizzato per designare la Sindrome di Todd o Dismetropsia, una condizione neuropsicologica che provoca una distorsione della percezione, frequente soprattutto nei bambini. A livello visivo le persone affette da questa patologia tendono a vedere gli oggetti più piccoli, più grandi, più vicini o più lontani di quanto non siano nella realtà. La causa primaria della Sindrome di Alice nel paese delle meraviglie è attualmente sconosciuta, ma è stata spesso associata ad emicraniatrauma cranico o encefalite virale. C’è inoltre chi sostiene che possa essere causata da quantità anomale di attività elettrica, con conseguente flusso sanguigno anormale in quelle parti del cervello che elaborano la percezione visiva.

L’eredità dei poeti maledetti

La figura del poeta maledetto è andata nei secoli ben oltre i confini del tempo e della letteratura, arrivando a toccare diversi ambiti della cultura, fino ad assumere una dimensione quasi mitica. Pittori come Vincent van Gogh (leggi “Dai dipinti cupi e grigi al trionfo dei colori caldi: la metamorfosi cromatica di Vincent van Gogh”), Toulouse Lautrec, Pablo Picasso, Amedeo Modigliani e Jackson Pollock e musicisti quali Jim Morrison, Nike Drake, Patti Smith, Janis Joplin e Brian Jones hanno deciso a loro modo di rifiutare i valori tradizionali della società, preferendo a questi l’autoannientamento, la sregolatezza e l’abuso di alcool e droghe, fissando nel tempo le loro intramontabili personalità, oltre naturalmente alla loro arte.

Ciò conferma il filo sottile che spesso lega genio e sregolatezza, che passa attraverso una visione del mondo non convenzionale, a tratti alterata ed distorta. Non a caso alcuni dei maggiori capolavori della letteratura, dell’arte e della musica sono il frutto della commistione dell’intelletto con l’abuso di sostanze stupefacenti e alcol.

L’allucinazione è un sogno fatto da svegli
(Alain Berhoz)

Veronica Elia

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154