Colore degli occhi e credenze. L’eterocromia di Alessandro Magno

Un tratto fisico, il colore degli occhi. Le culture del mondo antico e quello moderno hanno interpretato il colore dell’iride nei più svariati modi, associandovi convinzioni e significati sulla base della propria visione del mondo, creando dunque una corrispondenza fra colorazione degli occhi e personalità.

Iniziamo con una lettura scientifica.

La colorazione dell’iride è dovuta principalmente alla genetica. I pigmenti responsabili sono la melanina, che si trova anche nella pelle e nei capelli, e il lipocroma: la prima determina le tinte nere e marroni, mentre la seconda contribuisce a quelle più chiare, quali il giallo e l’arancio. Incidono anche fattori biologici: minore è la quantità di melanina nello stroma, lo strato di tessuto connettivo di cui è costituita la quasi totalità dell’iride, maggiore è la capacità di quest’ultima di riflettere luce e virare verso i colori chiari come il verde e l’azzurro. Infine, quelli ambientali: la maggior produzione di melanina, dovuta all’esposizione prolungata al sole, ha determinato in alcune latitudini una maggiore incidenza di iridi scure (Popolazioni Africane e del Sud America) e in Europa la dominanza degli occhi chiari nei paesi del nord, dove la quantità di luce è ben minore rispetto all’area mediterranea (Peter Frost, European hair and eye color: A case of frequency- ependent sexual selection? Evolution and Human Behaviour, 27: 85-103. 2006).

Fig. 1, Occhio color marrone, Pexels.

I dati variano a seconda delle fonti, ma gli occhi scuri sono il tratto più diffuso nella popolazione mondiale con una percentuale compresa fra il 55% e il 79%, mentre quelli blu si assestano all’8-10%, per chiudere con la rarità del verde di appena l’1-2%. La cultura occidentale associa intensità e forza ai primi, bellezza e innocenza ai secondi, mistero e fascino ai terzi. E se presso le popolazioni asiatiche la rarità degli occhi chiari li rende particolarmente desiderabili, nelle culture africane ciò non accade poiché, pur essendo parimente infrequenti, è agli occhi scuri che si attribuiscono profondità spirituale e sapienza.

Fig. 2, Occhio color azzurro, Pexels.

La percezione del colore dell’iride nel passato era diversa da quella odierna. Fra le culture antiche, Egitto e Grecia guardavano con favore agli occhi azzurri considerandoli un segno divino, mentre non era della stessa idea Roma che li associava alle barbarie delle tribù germaniche. I romani, del resto, avevano due categorie di colori, come racconta Plinio il Vecchio nel libro XXXV della Naturalis Historia: i più apprezzati colores austeri, ed i meno graditi colores floridi. Ai primi appartenevano il bianco, il nero, il giallo e il rosso: i colori che avevano dominato nel periodo repubblicano e con i quali Roma aveva dichiarato al mondo la sua grandezza al tempo dei Cesari. Nei secondi invece rientravano quelli che per noi sono il blu, il verde, il viola, il rosa, l’arancione, essendo le denominazioni dei colori nell’età moderna assai diverse dal mondo antico, dove la vera scriminante fra una colorazione e l’altra era la brillantezza e non la tonalità: la serietà greve del mos maiorum li giudicava sconvenienti e frivoli, gridando allo scandalo quando venivano indossati. Con il crescere delle mode orientali durante l’impero, questo pensiero si sarebbe sempre di più sgretolato.

Fig. 3, Leopardo dagli occhi verdi, Pixabay.

Il blu in particolare simboleggiava il lutto e l’inquietudine: era di pessimo auspicio avere gli occhi di questa tinta, ridicola per gli uomini e viziosa per le donne. Il verde, anche se rappresentava vigore e coraggio fin dalla repubblica, al pari del blu non era ben visto né per l’abbigliamento né per gli occhi: capriccioso ed eccentrico, perfetto dunque per vestire Nerone che ne avrebbe favorito la diffusione, era sintomatico per Marziale di una natura perversa e dissoluta.

Gli occhi più celebri di tutta l’antichità non ebbero una sola cromia. A detta di Plutarco erano uno nero come la notte e uno azzurro come il mare ma che si oscurava in preda all’ira, funesta e distruttiva come quella di Achille a cui il macedone tanto si paragonava rivendicandone la discendenza da parte della madre Olimpiade. Tecnicamente l’eterocromia riguarda l’1% della popolazione mondiale e può essere dovuta ad una quantità diversa di melatonina negli occhi, può derivare da un trauma e questo sarebbe stato il caso del Duca Bianco, oppure può essere frutto di una condizione oculare sottostante come il glaucoma. Vi è un ultimo stato patologico dell’occhio a causare l’eterocromia ed è conosciuto con il nome di eterocromia di Fuchs. La Ciclite Eterocromica di Fuchs è una infiammazione oculare cronica (uveite) anteriore di natura idiopatica con modifica della colorazione dell’iride dell’occhio affetto.

Ma se è Alessandro il Grande ad averla, la spiegazione non può essere così ordinaria: lui, l’eroe per antonomasia a cui lo stesso Giulio Cesare anelava, a differenza dei comuni mortali doveva l’occhio scuro alla sua metà terrena e l’occhio azzurro a quella divina.

Fig. 4, Alessandro Magno nel mosaico della battaglia di Isso, Museo archeologico nazionale di Napoli, Focus.it.

Geniale, razionale, ma anche energico e aggressivo, vorace di vizi e grandi qualità, dagli storici sappiamo che il magnetismo emanato dal figlio di Zeus era irresistibile, complici probabilmente anche i suoi occhi. Sappiamo altresì che i suoi uomini lo avrebbero seguito fino agli inferi e che il suo altrettanto leggendario cavallo Bucefalo, con cui si dice condividesse l’eterocromia, non gli avrebbe permesso di salire in sella ad un altro cavallo anche se in fin di vita, conducendolo alla vittoria nella battaglia dell’Idaspe per poi stramazzare al suolo la sera stessa. A lui il condottiero intitolò Alessandria Bucefala.

Fig. 5, Gatto con eterocromia, Pixabay.

Sono quegli occhi a trasformarlo in un eroe romantico nel poema di ispirazione classica Alexandros di Giovanni Pascoli, dove il poeta lo immagino abbandonarsi a riflessioni esistenziali, ormai giunto ai confini del mondo allora conosciuto. Nella quinta sezione del componimento, i colori nero e blu dei suoi occhi diventano simbolo di conflitto interiore, rispettivamente fra la speranza di aver ancora tanto da scoprire, che diventa sempre più debole, e il desiderio di andare oltre, che diventa sempre più forte, alimentando una spirale che può solo restare inappagata.

E così, piange, poi che giunse anelo:

piange dall’occhio nero come morte;

piange dall’occhio azzurro come cielo.

 

Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)

nell’occhio nero lo sperar, più vano;

nell’occhio azzurro il desiar, più forte.

 

Egli ode belve fremere lontano,

egli ode forze incognite, incessanti,

passargli a fronte nell’immenso piano,

 

come trotto di mandre d’elefanti.

 

Un contrasto insanabile che fa sgorgare un pianto immenso dagli occhi del re dei macedoni.

 

Claudia Chiari

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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